Intervista sui Talenti su "La Tribuna" di Treviso del 4 Febbraio 2010
GIOVEDI’ 4 FEBBRAIO 2010
LA SCUOLA PER GENITORI
CASTELFRANCO. Come scoprire (e coltivare) i talenti dei figli?
Nel quarto appuntamento del ciclo, stasera a Castelfranco, Mario Polito affronta uno dei temi più delicati
Alla ricerca del talento dei figli
Guida alla scoperta e valorizzazione delle qualità più preziose
CASTELFRANCO. I talenti vanno donati, non tenuti sottochiave. Devono servire a migliorare il mondo.
Lancerà anche un messaggio per i ragazzi lo psicologo Mario Polito, che questa sera incontrerà le mamme e papà della Scuola per Genitori «Impresa Famiglia» della Castellana e Pedemontana nel quarto incontro del ciclo formativo 2009/2010.
Lo affiderà i genitori affinché lo trasmettano ai propri figli. «Il talento, una volta realizzato, deve essere messo a servizio della comunità - afferma il docente - Michelangelo ha dipinto la Cappella Si-stina per noi, non per se stesso. Così un pizzaiolo fa le pizze per gli altri, non per sé. Allo stesso modo il cantante con le sue canzoni, il medico con le sue diagnosi.
Molti hanno una concezione egocentrica ed egoistica dei talenti, e non capiscono che il loro vero compimento sta nel dono. Ai ragazzi dico: «Diventa il più bravo nel tuo campo, o almeno tentalo, e poi dona al mondo la tua bravura per cercare di migliorarlo”». Una concezione diametralmente opposta, secondo Polito, all’idea di «rapina», così radicata nella nostra cultura.
«La prima regola è osservare con quattro occhi, anzi con quarantaquattro occhi. Questo riguarda i genitori, ma anche i parenti e gli insegnanti»
di Francesca Nicastro
Mario Polito, psicologo e psicoterapeuta, lo spiegherà agli iscritti della Scuola per Genitori «Impresa Famiglia» di Castelfranco e della Pedemontana, nell’incontro di stasera.
È il quarto appuntamento del ciclo di formazione alla genitorialità, diretto da Paolo Crepet e promosso e sostenuto dal Credito Trevigiano - Banca di Credito Cooperativo insieme a Confartigianato Castelfranco.
Professor Polito, cos’è il talento?
Ognuno di noi ha un certo numero di talenti, di abilità che canalizzano i nostri interessi su alcuni ambiti.
Si può però parlare di talento solo quando un interesse è perseguito con passione e coltivato con fatica. Il talento è una vocazione, una chiamata, a cui si risponde. Se non c’è la risposta, non c’è il talento. Esso dunque ha più a che fare con il sudore che con la «magia». Se ci si siede e non si fa niente, infatti, il talento non si esplica.
C’è un detto latino che spiega bene il concetto: «Sedersi sugli allori significa non esser più poeta».
Come si scoprono i talenti dei figli?
La strada è osservare. Con quattro o, meglio ancora, con quarantaquattro occhi. La visione dei genitori è già stereofonica, dunque ottima. Poi ci sono gli «occhi» della scuola, dei parenti, dei nonni, degli amici... Insomma, per scoprire i propri talenti ci vuole l’occhio dell’altro. E anche il suo giudizio.
Oltre ad osservare, il genitore dovrebbe sottolineare i successi e le eccellenze del figlio, dicendo ad esempio: «Che bravo che sei stato in questa cosa, ti è venuta proprio bene». Lui magari lo sa già ma, comunicandoglielo, lo si costringe a guardarsi meglio.
Sembra facile a dirsi.
Sarebbe certo più facile se le mamme e i papà, invece di fare l’album fotografico, facessero l’album dei talenti dei figli, dove annotare ad esempio il fatto che oggi lui ha vinto una gara di sci e ha dimostrato molta determinazione; oppure che ha manifestato la volontà di mollare il corso di violino ed è molto scoraggiato.
Lo stesso lavoro di osservazione lo dovrebbero fare i maestri e i professori; invece in gran parte gli studenti finiscono la scuola dell’obbligo senza aver scoperto quali sono i propri talenti. Ma se la scuola non fa emergere i talenti, non viene considerata utile dai ragazzi.
Una volta scoperte le doti del figlio, i genitori co- me possono aiutarlo a «coltivarle»?
Devono incoraggiarlo ed essere esigenti. Essere severi quando non si impegna e spreca le sue capacità. I talenti creano responsabilità. Questo va fatto capire al bambino fin da piccolo. Metterlo su un piedistallo e lanciargli il messaggio che lui è speciale di per sé, senza che debba fare nulla, non lo aiuta a sviluppare le sue potenzialità.
Lo aiuta invece la consapevolezza che non si può ottenere soddisfazione senza impegno, sudore e fatica.
I talenti sono solo semi che hanno dentro la potenzialità di diventare pianta, ma se non si fa la fatica di coltivare non nascerà nulla.
In che modo far crescere i figli con tale consapevolezza?
La strategia educativa si deve basare sull’integrazione tra il rispetto dei ragazzi, la capacità di guardare bene dentro di loro, la lealtà nei loro confronti, e l’essere esigenti. Osservare con rispetto ma anche chiedere il rendiconto.
Bisogna far capire al figlio che i talenti vanno fatti fruttare, investiti non sotterrati, come insegna parabola del Vangelo. Se hai due talenti devi portarli a quattro, se ne hai dieci, a venti. Si chiede solo il «raddoppio» non di essere come gli altri. E la fatica del raddoppio è la stessa, che si parta da due o da dieci.
È un compito difficile, per i genitori, chiedere il rendiconto. Loro danno, danno ma non sono abituati a chiedere. Eppure, se non chiedono, i figli si troveranno male quando entreranno nel mondo del lavoro, dove bisogna dare, non solo ricevere.
Non c’è il rischio che, mettendoli così sotto pressione, si stressino?
I ragazzi non hanno nessun problema a reggere la fatica se credono in quello che fanno, se sono motivati. Il problema che devono porsi i genitori non è lo stress ma la mancanza di motivazione. E devono cercare di motivarli. Si può reggere un grande stress in presenza di una motivazione forte.
L’obiettivo finale?
Mettersi al servizio della comunità
Non basta diventare bravi per sè stessi e la propria carriera, bisogna trovare un punto d’equilibrio.
«Il nostro rapporto con il mondo è orientato al saccheggio più che al dono - spiega - Prediamo e ancora prendiamo, consumiamo e ancora consumiamo, ma non ci poniamo mai il problema di arricchire il mondo con il nostro contributo. Si può farlo in ogni campo: artistico, scientifico, religioso... E dovrebbe essere l’intimo dovere di ciascuno».
Ai genitori, Polito chiederà di portare ai propri figli un’ulteriore riflessione sul rapporto tra talenti e mercato. «I ragazzi, generalmente, faticano a trovare un equilibro tra i due aspetti: o puntano tutto sui propri talenti, fregandosene del mercato, o puntano solo sul mercato, trascurando le proprie inclinazioni - osserva lo psicoterapeuta - Se si eccede nell’investire sui propri talenti, trascurando il mercato, si rischia di diventare dei geni incompresi, sregolati e disadattati. Se si punta solo sul mercato, invece, si coltiva un forte senso di insoddisfazione e frustrazione. Ci vuole dunque equilibrio, e la capacità di integrare i propri talenti in un progetto di vita».
(Francesca Nicastro)